Acqua e sicurezza alimentare - Food Safety Lab

30 Mag 2018 | Scritto da  Food Safety Lab
Acqua e sicurezza alimentare

Nell’antichità, e comunque fino a tempi recenti, i parametri utilizzati per valutare un’acqua potabile erano essenzialmente di natura organolettica, ovvero basati sulla capacità degli organi di senso di percepire difformità da quella che era ritenuta l’acqua ideale, che doveva essere il più possibile limpida, incolore, inodore e insapore. Per renderla tale si effettuavano operazioni di decantazione e filtrazione.

Nel corso dei millenni, acquisita l’idea che l’acqua poteva essere causa e veicolo di trasmissione di gravi malattie, gli studiosi di ogni epoca hanno cercato di stabilire criteri sempre più avanzati per l’idoneità al consumo umano. Il progresso delle conoscenze in ambito scientifico è stato accompagnato negli ultimi anni da un adeguamento normativo che ha imposto sempre maggiori attenzioni alla qualità delle acque al fine di salvaguardare al meglio la salute umana.

Strumentazioni di laboratorio sempre più sofisticate permettono oggi di rilevare la presenza di inquinanti in concentrazioni sempre più modeste, inoltre la stragrande maggioranza delle sostanze presenti nell’acqua sono impercettibili agli organi di senso e per questo motivo, in passato, la loro presenza non poteva essere valutata. Ecco perché alcune acque che un tempo erano ritenute potabili oggi, secondo le attuali conoscenze scientifiche e le norme che regolamentano il settore, non lo sono più.

Se l’acqua potabile è un’acqua che si può bere senza pregiudizio per la salute, allora tutte le acque che troviamo in commercio, come quelle che fuoriescono dai nostri rubinetti, sono potabili proprio perché possono essere bevute in tutta sicurezza; tuttavia la legislazione ne riconosce e regolamenta differenti tipologie, che distingue a seconda della composizione salina, dell’origine, delle modalità di trasporto e degli eventuali trattamenti a cui vengono sottoposte. Esistono infatti le “acque destinate al consumo umano”, le “acque minerali naturali”, le “acque di sorgente” e le “acque affinate”, tutte acque potabili ma regolamentate da differenti legislazioni. Cosa le accomuna? Il fatto di essere sicure.

L’acqua potabile, indipendentemente dalla categoria alla quale appartiene, deve essere salubre e pulita, ovvero non deve contenere microrganismi né altre sostanze in concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana.

Per assicurare ciò le attuali norme, recepite a livello di Comunità Europea, definiscono i requisiti di potabilità attraverso il monitoraggio di numerosi parametri, per ognuno dei quali è stato fissato un limite di concentrazione. In particolare il D.Lgs 31/2001 (Attuazione della direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano), con le sue successive modifiche ed integrazioni, prevede il controllo di 53 parametri, così suddivisi:

- 2 parametri microbiologici (5 per le acque messe in vendita in bottiglia o in contenitori);

- 28 parametri “chimici”, riguardanti elementi indesiderabili e tossici, per i quali sono fissati limiti imperativi di concentrazione (salvo concessione di deroghe);

- 21 parametri “indicatori”, riguardanti elementi caratterizzanti, per i quali sono stabiliti valori consigliati che non dovrebbero essere superati;
- 2 parametri di radioattività.

Nei processi di produzione, manipolazione e trasformazione degli alimenti, l’acqua potabile rappresenta un elemento fondamentale, sia che sia utilizzata nei lavaggi o per la pulizia di locali e attrezzature sia che rappresenti un ingrediente del prodotto alimentare. La disponibilità di acqua con requisiti certi di potabilità è da considerarsi un pre-requisito imprescindibile e deve essere valutata attentamente nell’analisi dei pericoli e nella gestione del rischio delle procedure di autocontrollo.

In particolare, è importante verificare che l’acqua impiegata nel ciclo produttivo non introduca contaminanti di natura microbiologica, chimica o fisica.

Quando si parla di ciclo produttivo non ci si riferisce esclusivamente all’impiego dell’acqua potabile come ingrediente del prodotto alimentare, ma anche all’acqua utilizzata per il lavaggio di alimenti (ad esempio, le verdure), per la produzione di ghiaccio e vapore o per la pulizia, la sanificazione e il risciacquo di impianti, superfici di lavoro e attrezzature che vengono a contatto con gli alimenti. L’autocontrollo dell’impresa alimentare deve pertanto prevedere la verifica che nello stabilimento sia impiegata costantemente acqua che non influisca negativamente in modo diretto o indiretto sulla salubrità del prodotto finale.

In uno stabilimento possono verificarsi situazioni diverse tra loro. Infatti, l’impresa può approvvigionarsi di acqua da acquedotto pubblico o da una captazione privata o anche da entrambi. In tutti i casi, deve essere rispettato quanto previsto dal decreto ministeriale 174/04 sulla conformità dei materiali e degli oggetti che possono essere utilizzati negli impianti fissi di captazione, trattamento, adduzione e distribuzione delle acque destinate al consumo umano. Inoltre, si evidenzia che le eventuali analisi sui campioni di acqua effettuate nell’ambito delle procedure di autocontrollo devono essere eseguite in conformità della legge 88/09 e dell’accordo di Conferenza Stato-Regioni 78/CSR/2010, come modificato ed integrato dall’accordo di Conferenza Stato-Regioni 84/CSR/2015. In altre parole, tali analisi devono essere eseguite dai laboratori che effettuano analisi nell’ambito dell’autocontrollo delle imprese alimentari, iscritti negli elenchi regionali che sono stati istituiti ai sensi delle sopra citate norme e che devono essere in possesso di specifiche prove accreditate sulle acque potabili ai sensi della norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025:2005.

Food Safety Lab

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